Stefano Andi, quando l’architettura è vivente
L’intervento umano nel flusso delle forme naturali. A colloquio con l’architetto di formazione steineriana che sperimenta un nuovo sentimento del bello
Prima gli studi “classici” al Politecnico di Milano, poi, nella seconda metà degli anni ’70 le specializzazioni a Dornach, in Svizzera, al Goetheanum, tempio del pensiero steineriano:
l’architetto Stefano Andi è uno dei massimi esperti di architettura organica vivente. Ha aperto nel 2005, a Milano, lo studio Forma e Flusso ed è membro delle associazioni Stella Maris, Scuola di arte-terapia antroposofica di Bologna, e Ars Lineandi di Rovereto, Trento.
Abbiamo parlato con lui delle potenzialità dell’architettura organica, dell’apporto che questo modo di costruire e “gestire” gli spazi può dare al recupero e al rispetto dell’ambiente.
Cominciamo dalle basi, che cos’è l’architettura organica vivente?
È un concetto legato alla vita in senso lato, al vivere. Vuol dire considerare l’architettura non come oggetto di consumo, per quanto elaborato ed elegante; non si tratta solo dell’abitare ma anche del lavorare. Del vivere, appunto. L’idea è che l’architettura è realmente interprete della vita degli uomini nel senso profondo e alto, questo è il principio.
Ci sono esempi concreti che spiegano questo concetto?
Certo. Ci sono soprattutto scuole, edifici pubblici, prevalentemente nel Centro e Nord Europa. Osservando questi edifici è chiaro come siano visti non come oggetti o “macchine”. L’architettura organica si esprime in quattro linguaggi; quello dei materiali, delle forme, dei colori e dello spazio, senza limitazioni né veti. Ad esempio: noi non restringiamo i nostri progetti a spazi e forme ad angolo retto, ma sviluppiamo spazi e forme anche molto diversificate, con linee curve, angoli di varia ampiezza, passaggi molto più liberi.
E infatti, osservando gli edifici costruiti con l’architettura organica vivente, colpiscono le forme e le linee così morbide e arrotondate. Qual è il loro scopo, se ce n’è uno, o il loro significato?
Il significato deriva un po’ dalle premesse. Se si osserva bene l’esperienza dell’uomo, anche partendo dalla sua forma organica, dal suo corpo, si nota che l’uomo è costituito da forme molto elastiche, molto complesse; l’organismo e le parti dell’organismo. Questa sua natura vivente si esprime in forme che non sono linee rette o angoli retti ma sono altrettanto complesse, ricche.
Dall’esempio della figura umana possiamo prendere questa ricchezza, riportarla nell’architettura, senza copiare le forme dell’uomo stesso imitandole, ma interpretandole come qualità del vivente. Questo si esprime anche nei sentimenti, nei pensieri, in tutto ciò che vive nell’anima e nella psiche. I
l mondo interiore può essere tradotto in forme che non sono necessariamente qualcosa di rigido o unilaterale, ma estremamente complesse, differenziate da persona a persona. Questa è la ricchezza delle forme, e anche dei colori, un altro mondo molto ricco da cui si può attingere.
Qual è il rapporto del colore con l’architettura organica?
Le faccio l’esempio dell’architettura scolastica, campo in cui l’organica vivente si è sviluppata tantissimo, soprattutto all’estero, nei paesi germanici, Germania, Olanda, Danimarca, Svezia, Norvegia. Anche se negli ultimi vent’anni si sta diffondendo anche in Australia, Giappone e Sudamerica. Se noi osserviamo la crescita del bambino da quando nasce, vediamo che la sua vita interiore e il suo stato di coscienza cambiano quasi di anno in anno, e un bambino di sei o sette anni ha una vita interiore differente da quella di uno di nove o dieci. Per la pedagogia steineriana, infatti, esistono tappe di crescita di settenni. Ebbene, anche questo si può dipingere in colori; se dipingo un’aula per bambini di sette anni o per dieci anni, dovranno essere colorate con colori che corrispondono alla loro età, che fino ai diciotto anni è qualcosa di mutevole. Se si vanno a vedere le scuole costruite con questa architettura si vede che dalla prima classe fino alla quinta liceo il colore delle aule cambia di anno in anno.
Come si “scelgono” i colori, a cosa corrispondono?
Ad esempio si comincia in prima elementare con un colore caldo, rossiccio, per poi passare all’arancione, e via via al giallo, al verde, all’azzurro. Fino al viola.
Non per un requisito estetico di gusto o ideologico, ma perché corrisponde a quello che il bambino sente nella sua interiorità e che trova in questo modo corrisposto.
Questo uso dei colori è applicabile anche nelle altre tipologie di edilizia?
Sì, certamente. Per esempio se pensiamo ad un’abitazione, per dare dei colori ad una sala da pranzo non dobbiamo assolutamente scegliere colori freddi o acidi, come il giallo o il verde acido o il blu, perché lì, in quella sala, c’è un’esperienza di consumazione di cibo, di gusto, che ha bisogno di un calore. Dev’esserci qualcosa di caldo che ci attornia, bisogna cercare delle tinte che vanno verso il polo caldo.
Il discorso è valido anche per i colori usati all’esterno?
Per gli esterni, sia per i colori che per le forme che per i materiali, bisogna tenere conto del contesto naturale, come si colloca l’edificio rispetto al verde, se siamo in campagna, o rispetto a quello che abbiamo intorno in città, se siamo in collina o in pianura, etc. La natura o il contesto urbano sono gli elementi che ispirano la scelta. Il luogo particolare, la storia che ha lasciato le sue tracce, l’elemento culturale dei popoli e dei luoghi. Pur essendo un’architettura moderna, non è e non può essere in contrasto tale da ferire l’ambiente circostante, sia esso naturale che artificiale. Deve trovare un rapporto. Lo studio di questi rapporti non è né di rottura violenta né di banale imitazione o copiatura.
Che materiali utilizzate? Naturali come il legno?
Prevalentemente naturali, legno, pietra, mattone. Però non esclusivamente. L’architettura organica ha una lontana parentela con la bioedilizia, ma oltre a questi materiali che rispondono a criteri ecologici, e che è giustissimo usare, va oltre, scegliendo anche nuovi materiali, studiati con rispetto dell’uomo e della natura.
Ad esempio?
Il cemento armato, che per la bioedilizia è un’eresia. In realtà da una parte ti permette di fare delle cose che nessun materiale naturale può fare tecnicamente e formalmente, dall’altra parte nell’ambito della corrente organica vivente è stato inventato una decina di anni fa un tipo di cemento armato ecologico, che viene trattato all’origine in modo tale da non avere quegli effetti negativi e sgradevoli del cemento non naturale. Le forme con cui adesso viene modellato, contribuiscono molto alla gradevolezza.
E poi ci sono sempre nuove invenzioni come l’argilla fatta in modo nuovo o tessuti come iuta e canapa lavorati in modo nuovo. L’ambito di ricerca è sempre ampio e attivo.
Quando lei parla di cemento armato ecologico a cosa si riferisce in particolare?
Mi riferisco ad un tipo in particolare che qui in Italia non è conosciuto ancora e che viene fabbricato in Svizzera. Si mette in rapporto con i processi viventi dell’organismo umano, processi che vengono favoriti e sorretti dalle caratteristiche di questo cemento e non danneggiati. Poi ce n’è un altro, molto interessante, che assorbe l’anidride carbonica nell’aria. Ma bisogna fare attenzione a quelli pubblicizzati come ecologici, che in realtà di ecologico hanno ben poco.
I colori e le vernici usati sono ecologici?
Sì, il discorso steineriano va esteso a tutti i materiali che usiamo, dalle vernici ai materiali usati per fare i mobili. Non usiamo colle inquinanti. Ma questo è solo il primo gradino.
Diversamente dalla bioedilizia e dall’architettura ecologica, noi facciamo un passo in avanti, anzi due. perché vogliamo usare anche forme ecologiche, colori ecologici. Non solo dal punto di vista delle sostanze, ma dal punto di vista dell’effetto che forme e colori hanno sulla nostra dimensione di vita interiore, sulla nostra spiritualità e sul corpo.
Tutto è legato, ci sono forme che fanno star bene e forme che fanno star male. Spazi in cui ti trovi accolto, sostenuto e ti senti bene e spazi in cui se stai a lungo non stai bene.
Chi sono prevalentemente i vostri committenti in Italia?
Da noi l’architettura organica vivente è ancora poco conosciuta e trova difficoltà nella realizzazione, perché si crede che costi troppo farla per via delle forme e dei colori speciali. In realtà con una buona progettazione e organizzazione, i costi sono paragonabili a quelli di un buon edificio tradizionale. È un equivoco dato da ignoranza, perciò non c’è ancora una diffusione ampia. Si avvicinano prevalentemente persone già sensibili all’ecologia e alla pedagogia steineriana, all’agricoltura biodinamica, alla medicina. Di solito sono privati. Qualcosa in Italia si muove nelle scuole steineriane.
L’organica vivente può essere urbana?
Sì, certamente. Ci sono all’estero degli esempi magnifici, in Olanda, per esempio. Dei fabbricati al centro di città che fanno un loro effetto. E persino in Ungheria questo tipo di architettura ha avuto un successo enorme in varie città, che hanno adottato l’organica vivente adattandola allo stile ungherese.
Ma in che modo si connettono architettura e agricoltura biologica e biodinamica?
Prima di tutto attraverso una connessione di complementarietà. L’essere umano viene alimentato attraverso due canali, due elementi: uno è la nutrizione attraverso i cibi, ottenuti dall’agricoltura, e sappiamo che quella biologica e biodinamica ha delle qualità molto migliori rispetto a quella convenzionale. L’altro canale di alimentazione è quello delle percezioni dei sensi; tutto quello che percepiamo con la vista, l’udito, l’olfatto. Steiner parlava di ben dodici sensi. Attraverso le percezioni dei sensi, veniamo nutriti in modo complementare al primo. Il nostro organismo corporeo può crescere, svilupparsi, mantenersi in salute attraverso entrambi questi apporti. Questo secondo canale di alimentazioni viene dato da quello che vediamo intorno a noi, in grande misura anche dall’architettura che ci circonda. Quindi la qualità dell’architettura è fondamentale per fornire questo secondo elemento integrativo dell’alimentazione. E direi che l’organica vivente che viene da Steiner ha tutti i numeri e le qualità per fornire delle percezioni sane.
E a proposito di questo: che cosa ne è dell’architettura rurale oggi? Agricoltura e architettura rurale sembrano totalmente sconnesse…
Sì, certo, oggi è del tutto sconnessa. Basta fare un paragone, guardando le tracce delle strutture agricole del passato. Le antiche cascine, i masi, le strutture tipiche di ogni regione e in generale di ogni parte del mondo. Sono architetture di periodi in cui c’era un’agricoltura sana; erano in grado di fornire all’uomo quegli elementi di cui parlavo prima. Questo non esiste più da più di cento anni.
La rivoluzione industriale ha colpito sia l’agricoltura che l’architettura, la qualità di un paesaggio, sia naturale che artificiale è diventata pessima. Oggi si costruiscono capannoni in cemento armato, stalle dove gli animali non stanno bene.
Che conseguenze ha questa sconnessione tra agricoltura e architettura?
Steiner diceva che l’architettura organica dovrebbe essere estesa in tutti i campi dell’attività dell’uomo. Non solo in quelli culturali o nelle abitazioni o nelle scuole e negli uffici. Lui parlava addirittura di stazioni ferroviarie, di aeroporti. E arrivò a dire che persino i macelli dovrebbero essere costruiti con queste forme. Perché gli animali percepiscono la qualità di quello che hanno intorno a sé, e percepire un ambiente architettonico di un certo tipo permette loro di “morire meglio”, piuttosto che di finire orrendamente in terribili capannoni, come avviene di solito.
Steiner spiega nel dettaglio quello che l’animale sperimenta quando viene condotto a morire; gli animali lo sentono prima, perché sono dotati di una sensibilità profetica. Quando hanno intorno delle forme che accompagnano dolcemente questo passaggio, non hanno più paura della morte. Questo influisce anche sulla qualità della carne.
Scrive per noi
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Valentina Gentile è nata a Napoli, cresciuta tra Campania e Sicilia, e vive a Roma. Giornalista, col-labora con La Stampa, in particolare con l’inserto Tuttogreen, con la testata online Sapeream-biente e con il periodico Libero Pensiero. Ha scritto di cinema per Sentieri Selvaggi e di ambiente per La Nuova Ecologia, ha collaborato con Radio Popolare Roma, Radio Vaticana e Al Jazeera English. In un passato non troppo lontano, è stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma, e ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè. E naturalmente l’agricoltura bio in tutte le sue declinazioni, dai campi alla tavola.
Contatto: Valentina Gentile
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