Secondo il servizio europeo Copernicus il mese quello del 2020 è stato il giugno più caldo degli ultimi 40 anni

Secondo il servizio europeo Copernicus il mese quello del 2020 è stato il giugno più caldo degli ultimi 40 anni

A qualcuno non piace caldo. Giugno 2020, il più rovente dal 1981 secondo Copernicus

Un aumento delle temperature di 0,53°C rispetto alla media dal 1981 al 2010. Quello del 2020 è stato il giugno più caldo degli ultimi 40 anni, secondo i dati della rete Copernicus, il servizio di monitoraggio sui cambiamenti climatici dell’Unione europea

Non si può dire che non ce ne fossimo accorti, ma adesso la conferma arriva da fonti scientifiche autorevoli. Le scorse settimane sono state bollenti in quasi tutta Europa. E infatti il mese di giugno 2020 ha registrato un aumento di 0,53°C rispetto alla media compresa dal 1981 al 2010, secondo i rilevamenti del Copernicus Change Service, il servizio di monitoraggio e vigilanza sui cambiamenti climatici dell’Unione Europea.

Un Nord rovente

Sono i paesi del Nord quelli più “caldi”: le temperature sono tutte sopra la media in Scandinavia e in gran parte dell’est Europa, anche per le influenze degli anti cicloni. La Norvegia ha registrato il secondo giugno già caldo dal 1900, mentre la Svezia il più alto in assoluto, da quando sono iniziati i rilevamenti di temperature, e cioè a fine ‘800. È stato il giugno più caldo dal 1961 anche per Helsinki e altre zone della Finlandia. La Siberia già da maggio ha registrato temperature più alte di 10° rispetto al solito, fenomeno riscontrato anche durante l’inverno e la primavera.

Che cosa è successo in Siberia il 29 maggio? Guarda il webinar

L’inverno più caldo di sempre

In tutto il Vecchio Continente  comunque l’inverno del 2019/2020 è stato il più caldo di sempre, con una temperatura media di ben 3,4°C superiore alla media del periodo 1981/2010. Proprio la rete Copernicus lo scorso 22 aprile ha pubblicato un rapporto nel quale mette in evidenza come dal 2000 ad oggi si siano registrati 11 dei 12 anni più caldi di sempre. Carlo Buontempo, direttore dell’autorevole servizio di monitoraggio, sottolinea l’intenzione di fornire dati da mettere a frutto concretamente:

 

Carlo Bernardi
Carlo Bernardi, direttore del servizio europeo di monitoraggio Copernicus

 

«I dati Copernicus sono fondamentali non solo per scienziati e decisori politici, ma anche per le aziende. Per sviluppare prodotti, per decidere dove installare una pala eolica. O per stabilire il cash flop di un impianto idroelettrico. Ma anche per decidere che tipo di vigna impiantare in un determinato territorio, al fine di produrre vino che si possa commercializzare sul medio-lungo periodo».

 

Traguardi improbabili

Buontempo evidenzia così la necessità, da parte della politica e degli imprenditori, di usare i dati per compiere scelte diverse. E d’altra parte salvare il clima è una corsa contro il tempo che sembra sempre più oggettivamente difficile. «Da un punto di vista scientifico – riprende – possiamo affermare che è sempre può difficile limitare l’aumento della temperatura media globale ad un massimo di 2 gradi, o ancora di più a 1,5 gradi». Anche perché nel frattempo le concentrazioni di gas ad effetto serra nell’atmosfera aumentano in modo inversamente proporzionale al tempo che resta per raggiungere gli obiettivi fissati nel 2015 con l’Accordo di Parigi. Con le attuali politiche e normative, il traguardo sembra pressoché impossibile.

 

Le anomalie climatiche di giugno 2020 secondo il servizio Copernicus
Le anomalie climatiche di giugno 2020 secondo il servizio Copernicus

Il 2019, annus horribilis del clima

Il 2019 è stato un anno purtroppo significativo per lo stato del clima. È stato l’anno più caldo seguito dal 2014, 2015 e 2018. Novembre è stato uno dei mesi più bagnati di sempre, e ha portato precipitazioni quattro volte superiori alla media nell’Europa occidentale e meridionale, mentre estati caldissime e secche si sono registrate nell’Europa centrale.

Tutte le stagioni sono risultate più calde della media, con l’estate che ha registrato le temperature più elevate dal 1979. In alcune zone d’Europa le temperature estive hanno registrato un aumento di tre o quattro gradi centigradi in più rispetto alla media.

Ondate di caldo intenso hanno colpito molti paesi europei, inclusi Germania e Francia. La siccità estiva ha causato seri danni alla vegetazione e ai raccolti in molte parti d’Europa. In particolare in Europa occidentale, dove la vegetazione è tornata alla normalità in autunno per essere poi presa di mira dalle intense piogge di fine d’anno. Nelle zone artiche europee si è registrato un aumento di temperatura, sia su terra che in mare, di 0.9 C° rispetto alla media. Sempre nel 2019 la concentrazione di CO2 (anidride carbonica) e CH4 (metano) ha continuato ad aumentare. Per gli scienziati livelli così alti possono essere riscontrati solo andando indietro di milioni di anni nella storia dell’umanità. L’anno ha anche registrato il record di ore di sole, battendo il 2015, sebbene ci siano delle variabili regionali. Le zone che hanno registrato un aumento delle ore di sole rispetto alla media abituale sono la Spagna, alcune zone della Francia, l’Europa Centrale in generale e alcune parti dell’Europa dell’est.

Guarda il notiziario sul clima di Copernicus

 

Un 2020 che promette “bene”

Intanto il 2020 sembra stia mantenendo lo stesso stile del suo predecessore.  E d’altra parte chi si ostina ancora a negare gli stravolgimenti climatici, dovrebbe considerare che i dati di Copernicus, analizzando, ad esempio, il clima del 2019 e mettendolo in relazione con i dati degli ultimi decenni, non lasciano adito a dubbi. «Il fatto che ben 11 dei 12 anni più caldi siano concentrati nel periodo che va dal 2000 ad oggi  – spiega Buontempo – rappresenta di fatto una prova dei cambiamenti climatici. Ciò per il solo fatto che ottenere una statistica simile è talmente improbabile da lasciare pochi dubbi».

La questione mediterranea

Statistiche che non possono essere frutto del caso. Così come non è casuale la situazione a rischio del Mediterraneo, come evince dal rapporto scientifico sul clima e il cambiamento climatico nel Mediterraneo pubblicato lo scorso ottobre dall’Unione per il Mediterraneo, l’organizzazione intergovernativa che raggruppa 43 paesi europei e del bacino del Mediterraneo. I dati sono molto chiari e poco rassicuranti. La regione mediterranea, si legge, si sta riscaldando con una velocità superiore del 20% rispetto al resto del mondo. Con le attuali policies le temperature sono destinate ad aumentare di 2.2° C entro il 2040. Il bacino mediterraneo, continua il rapporto, soffre le conseguenze dello sfruttamento del suolo, aumento dell’inquinamento e declino della biodiversità. Acqua, ecosistemi, cibo, salute e sicurezza dell’intera zona sono a forte rischio per i prossimi decenni.

 

Mare Nostrum da salvare

Dal 2015 il Mediterranean Experts on Climate and Environmental Change (MedEcc), un network di più di 80 scienziati da tutti i paesi dell’area, ha studiato e redatto il rapporto per l’UpM con l’obiettivo di facilitare politiche più efficaci per arrestare gli sconvolgimenti climatici. Con un riscaldamento così rapido, la zona è considerata una tra le più a rischio del mondo, con i suoi 250 milioni di persone che secondo le previsioni entro 20 anni avranno difficoltà a procurarsi l’acqua. «Nessuna nazione o comunità mediterranea – dichiara il Segretario Generale dell’UpM, Nasser Kamel – ha abbastanza risorse per affrontare da sola i cambiamenti climatici. Lo sforzo comune per il prossimo decennio deve essere quello di focalizzarci su come affrontare questa questione così urgente, che va oltre il cambiamento climatico di per sé e implica la necessità di riconsiderare l’intero approccio alle risorse limitate dell’intera area». Il rapporto sarà completato con una seconda parte, pubblicata alla fine del 2020.

 

Leggi anche
I giorni della locusta. Chiesto lo stato di calamità per la Sardegna

 

Le conseguenze sull’agricoltura

Nel frattempo, secondo Copernicus giugno e luglio 2020 raggiungeranno molto probabilmente altri record per l’innalzamento delle temperature. Tra i problemi più recenti ed evidenti legati ai fenomeni atmosferici estremi, l’invasione di locuste che da maggio sta flagellando campi e raccolti sardi, dopo aver devastato Corno d’Africa, Medio oriente e Sud Est Asiatico. Secondo i dati dell’Agenzia europea per l’ambiente, l’agricoltura contribuisce al cambiamento climatico e al tempo stesso ne subisce gli effetti. Basti ricordare che secondo il comitato scientifico Onu sul clima, l’Ipcc, per la sola agricoltura italiana negli ultimi dieci anni l’alternarsi di siccità a violente ondate di maltempo che hanno devastato coltivazioni, strutture e infrastrutture, hanno causato danni per 14 miliardi.

Scrive per noi

Valentina Gentile
Valentina Gentile
Valentina Gentile è nata a Napoli, cresciuta tra Campania e Sicilia, e vive a Roma. Giornalista, col-labora con La Stampa, in particolare con l’inserto Tuttogreen, con la testata online Sapeream-biente e con il periodico Libero Pensiero. Ha scritto di cinema per Sentieri Selvaggi e di ambiente per La Nuova Ecologia, ha collaborato con Radio Popolare Roma, Radio Vaticana e Al Jazeera English. In un passato non troppo lontano, è stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma, e ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè. E naturalmente l’agricoltura bio in tutte le sue declinazioni, dai campi alla tavola.

Contatto: Valentina Gentile

Parliamone ;-)