Agostino Barbieri, vivaista biodinamico

Impariamo a osservare le piante, innanzitutto. A tu per tu con Agostino Barbieri, vivaista biodinamico

Circa 1500 metri quadrati di serre e 2 milioni di piante, coltivate con il metodo biodinamico. L’agricola Barbieri, a Boretto, pochi chilometri da Reggio Emilia, è uno dei vivai biodinamici di riferimento in Italia. Tutto è cominciato negli anni ’70, un’intuizione avveniristica per quegli anni, arrivata dopo aver osservato delle zucche…

«La domanda che mi sono fatto è stata: che cosa serve all’uomo? A parte i vestiti, serve il mangiare. E per mangiare devi lavorare la terra, perché se vai in fabbrica non mangi i bulloni».

È così che Agostino Barbieri racconta i suoi inizi, quando nemmeno ventenne e dopo gli studi all’istituto d’arte, nel 1977 inizia a interessarsi dei terreni della nonna. Oggi l’agricola Barbieri a Boretto, in provincia di Reggio Emilia, conta su 1500 metri quadrati di serre e 2 milioni di piante, coltivate con il metodo biodinamico. Sul terreno della nonna, Agostino comincia a fare le prime prove, vale a dire cipolle, aglio eccetera. «Poi ho cominciato a lavorare come stagionale, nelle cooperative, in campagna. Fino a quando, intorno agli anni ’80, abbiamo cominciato a fare delle prime cooperative». Tutto rigorosamente biologico. Barbieri comincia così, direttamente con il biologico, e quindi non ha bisogno di riconvertire quando, alla fine degli anni ’80 incontra la biodinamica.

 

 

«A Le madri, che all’epoca era un centro Demeter, facevamo corsi tutte le settimane. Così ho conosciuto tutti». Di quel periodo Agostino ricorda l’entusiasmo e anche la difficoltà a trovare mercato: «Si andava all’ingrosso normale o nei negozi di macrobiotica, a ritirare dagli agricoltori. E si faceva un pola fame…». Oggi per fortuna le cose sono cambiate. L’azienda di Barbieri, gestita da Agostino insieme alle figlie Silvia e Camilla, è un fiore all’occhiello del vivaismo biodinamico. Produce oltre un centinaio di varietà di piante e poi cipolle, pomodori, insalate. E anche una piccola produzione di erbe come calendola, aneto. Lo abbiamo intervistato, in vista del prossimo seminario sul vivaismo, al quale prenderà parte.

 

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Agostino, come si è avvicinato al biologico?
Semplicemente ragionando…

Beh, non era facile capire certe cose negli anni ’80. È stato piuttosto perspicace per essere così giovane…
Non so…per me era semplice. Un po’ come per l’inquinamento, se uno immagina il mondo come una stanza, se ci sono dentro dieci persone è evidente che quella camera si riempirà di fumo e farà male a tutti. La “chiaroveggenza” veniva da questo, riuscire a immaginare una cosa piccola allargandola. Così ne vedi poi l’effetto. Già all’epoca comunque mi interessavo di alimentazione macrobiotica. Perciò l’alimentazione e l’agricoltura andavano di pari passo, iniziavano già negli anni ’80 i primi testi tipo stampa alternativa dove si dicevano gli effetti negativi della chimica. E poi è stato anche un mio pensiero. Effettivamente sì, forse è vero…di tutti gli amici sono l’unico che ha continuato. 

Ha avuto difficoltà in quel periodo?
No, perché quando ho iniziato non era proprio un lavoro da rendita, io facevo altri lavori. Erano le prime prove, con i primi campi, per capire che succedeva, avevo con me un amico agronomo, facevamo le prime prove, usando i concimi organici, cose così. Dopo ho cominciato a lavorare nelle cooperative, le prime cooperative biologiche. 

In quegli anni la sua regione viveva un fermento culturale non indifferente…
Anche Fukuoka, l’autore del libro “La rivoluzione del filo di paglia”, in quegli anni era a Bologna. Ho conosciuto anche lui. Si è aperto un mondo. Vedevo che se le cose erano fatte come si deve, i prodotti venivano bene. 

Diceva che all’inizio non ha avuto difficoltà, ma poi?
La difficoltà all’inizio non c’erano perché non ero un’azienda agricola da produzione, stavo solo sperimentando. Con le cooperative ho sentito la differenza. Abbiamo cominciato a fare i primi preparati 500, i primi biodinamici, negli anni ’80. La difficoltà era sempre la mancanza di soldi, perché non c’era mercato, non c’era richiesta. All’epoca ero considerato un pazzo. 

Poco mercato in Italia o in generale?
Non ce n’era proprio. Poi non c’era nemmeno la testa. La mentalità. Quando ho aperto la mia prima azienda negli anni ’90 vendevo al convenzionale, ai mercati normali, perché non c’era una distinzione tra biologico e convenzionale. 

Dopo le cooperative degli anni ’80 ha fondato la sua azienda negli anni ’90. Ma come ha incontrato la biodinamica?
Un mio amico, con cui lavoravo, era andato a un corso di agricoltura biodinamica. Era tornato a lavorare e aveva fatto un trattamento sulle zucche. Io conoscevo molto bene le zucche perché le aveva mia nonna. Ho notato che a mezzogiorno non piegavano le foglie, come invece sono solite fare. Quindi non pativano la sete, dopo questo trattamento. Allora mi sono incuriosito e gli ho chiesto delucidazioni. All’epoca non si sapeva molto. Da lì ho cominciato, e poi la vera svolta biodinamica l’ho avuta quando sono andato a Rolo, le attuali Le Madri. Sono stato uno dei primi soci fondatori. Lavoravo la terra e con Marco Bertelli facevamo le ricerche per i frutti antichi. 

Ma cosa l’ha colpita della biodinamica?
Se uno è abituato a lavorare e sa come funziona un ortaggio o una verdura e nota che dopo un trattamento 500 le cose cambiano in meglio è normale che si interessi, che rimanga colpito. È successo così, direttamente sul campo. Non ho fatto un corso, ho capito così. Il fatto che le zucche non piegassero le foglie a mezzogiorno voleva dire che era qualcosa di forte, di potente. Con il bio per le zucche si usava tutto un procedimento, con il letame di maiale fresco etc., ma quando ho visto che con 250 grammi dinamizzati si avevano questi risultati è scoccata la scintilla. 

Quali prodotti coltiva?
Piantine da orto adesso. Solo piantine da orto. 

Di che tipo e che semi usa?
Di tutti i tipi e varietà, abbiamo oltre un centinaio di varietà. Cipolle, insalate, pomodori, tutti i tipi di verdure…produciamo più di 2 milioni di piante. 

Che estensione ha la sua azienda? E qual è la differenza tra una serra convenzionale e una biodinamica, a parte il concime?
Saranno circa 1500 metri quadrati di serre. Tutto esclusivamente in serra, le piantine vengono fatte in alveoli, piccoli contenitori per il trapianto. Il vivaio è fatto di serre automatiche, riscaldamento automatico. La differenza è l’uso del tipo di semi, e la gestione di tutta la crescita delle piante, che è completamente diversa da quelle convenzionali.

Visita il sito dell’Azienda agricola di Agostino Barbieri

Azienda agricola Barbieri

 

Mi parla delle tecniche di concimazione? La quantità di compost, la preparazione, l’uso dei preparati, dei sovesci?
È molto semplice, basta usare le torbe. Si cerca di conoscere le ditte che le producono, si seminano. Poi si fa il 500 e i vari trattamenti biodinamici. Chiaramente se c’è una malattia fungina non uso un fungicida sistemico, uso propoli. Collaboro anche con dei genetisti, riproduciamo delle piante di pomodori antichi. Non uso zolfo e rame, per due milioni di piantine.

Non usando zolfo e rame, come controlla le malerbe e come difende le piante?
Di Malerbe non ce ne sono. Le erbe sono tutte buone e tutte brave. Siamo noi che siamo “male”, non esistono le malerbe, le erbe che noi chiamiamo così, come infestanti, nascono perché hanno ragione di nascere lì, devono modificare quella struttura di terreno. Sono le erbe colonizzatrici. Le chiamiamo malerbe perché noi vogliamo la lattuga nello stesso punto in cui nesce una gramigna. Ma sono tutte brave. In realtà ha ragione la gramigna e non noi che abbiamo messo la lattuga. 

Ma dalle malattie o dai parassiti come le difende?
È come tirare su un bambino. La mia serra è una nursery. Se a un bambino si dà da mangiare bene, quando ha un’influenza, nel giro di una settimana gli passa. Un bambino nutrito in modo diverso forse invece avrà una bronchite e altre malattie. Il principio è lo stesso.

Ma prima mi diceva che quando ci sono dei problemi usa propoli invece che zolfo e rame. Mi fa qualche esempio? Quali malattie cura con la propoli?
Non ne ho di malattie. Non si deve curare, si deve prevenire…

Quando usa allora la propoli per prevenire?
Regolarmente, non aspetto che le piante si ammalino. La propoli è anche un concime. È tutto un prevenire…

Quindi lei usa periodicamente la propoli nel concime per prevenire i problemi?
Sì, perché è un fungicida. Poi uso anche il macerato di equiseto, l’ortica, l’aglio. Si fanno questi macerati e si spruzzano sulle piante. Ogni dieci o quindici giorni, a seconda del clima, delle temperature, del caldo, dell’umidità. Abbiamo i termometri e le piante si seguono in quel modo. Questo è il segreto. Se si tira su una pianta dandole da mangiare sano, rimane sana. Io non sono mai attaccato da insetti.

Usate anche la tecnologia per prevenite, controllare, monitorare?
Quello che insegno anche ai ragazzi che vengono qui, è imparare a guardare, osservare, ed essere sensibili…

Quali impianti e attrezzature usate?
Abbiamo delle serre automatiche che si aprono e si chiudono, con il freddo e con il caldo. In più abbiamo dei bruciatori che riscaldano le serre. Non ho le luci e le lampade. Di notte le mie piante sentono la notte.

 

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Adesso, rispetto a quando lei ha iniziato, il mercato si è ampliato?
All’epoca non c’era la testa, né la cultura o la richiesta. Nel 1988 si stava aprendo un po’ il mercato, ma c’erano meno produttori. Quando c’è stata la crisi, nel 1996, è cominciato a esserci più mercato, è aumentata la gente che ha iniziato a lavorare la terra, i giovani. Poi c’è stato uno sviluppo, lo scorso anno con il lockdown. Oggi lavoro 14 bancali di torba, da 12 quintali l’uno, l’anno scorso ne ho usati altri 14, in tre mesi 28, quest’anno ne ho presi 30: abbiamo raddoppiato perché la gente a casa ha iniziato a fare gli orti. 

Chi acquista le sue piante?
Al 90% sono tutti agricoltori. Mi sono inserito in una fetta di mercato piccola media. Non rincorro la Ferrari. Mi accontento di una bicicletta.

Il mercato nell’ultimo anno, diceva prima, si è allargato: sono singoli e privati?
Soprattutto, sono aziende agricole che aprono. Ragazzi giovani che non sanno cosa fare, disposti a lavorare la terra…

Di che zona?
Da tutto il Nord Italia, Veneto, Piemonte, Lombardia, Trentino, Toscana…Sono aumentati anche i privati, ma appunto, soprattutto molti ragazzi dai 25 ai 40 che aprono aziende. Cominciano a lavorare la terra senza saperne niente. A volte quando capiscono che la terra è bassa, i sogni si perdono…

Lei si sente di consigliare a questi ragazzi di coltivare biodinamico, anche economicamente?
Sì. Io passo le giornate con loro. Gli faccio consulenza, faccio vedere come si usano gli attrezzi. Oggi può diventare un lavoro, ma bisogna avere un terreno proprio. E un minimo di attrezzatura. Poi cercare pian piano il mercato, a ciascuno il suo, ristoranti, mercati, o il trasformato che si vende di più nel tempo. Ogni azienda è un caso a parte. Ma bisogna farlo per bene. Perché se non lo si fa bene non funziona. Molti hanno il concetto di fare bio con la mentalità del convenzionale, i pesi, i chili, usano dei pellettati… Vuol dire che non hanno capito come funziona. Sia il biologico che il biodinamico vanno fatti bene, credendoci. Non credendoci come una religione, ma capendo come funziona, com’è fatta una pianta. Nei miei alveoli grossi come un bicchiere da liquore devo fare andare dentro il mondo. Quando si vuole fare l’agricoltore bisogna imparare ad osservare, è la cosa più importante. 

L’osservazione dei fenomeni come base per l’agricoltura…
Certo. Osservare, studiare la Luna, è un atto scientifico: la Luna sposta gli oceani, è linfa vitale. I cicli lunari sono in grado di condizionare anche le erbe, come tutto ciò che è liquido, sono campi elettromagnetici. Le alte e basse maree sono cose concrete. Bisogna imparare ad osservare bene, per capire: dobbiamo diventare termometri da laboratorio, tarati a sensibilità molto alte.

Dobbiamo saper guardare una mela e non vedere la mela rossa, ma piena di sfumature. 

Scrive per noi

Valentina Gentile
Valentina Gentile
Valentina Gentile è nata a Napoli, cresciuta tra Campania e Sicilia, e vive a Roma. Giornalista, col-labora con La Stampa, in particolare con l’inserto Tuttogreen, con la testata online Sapeream-biente e con il periodico Libero Pensiero. Ha scritto di cinema per Sentieri Selvaggi e di ambiente per La Nuova Ecologia, ha collaborato con Radio Popolare Roma, Radio Vaticana e Al Jazeera English. In un passato non troppo lontano, è stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma, e ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè. E naturalmente l’agricoltura bio in tutte le sue declinazioni, dai campi alla tavola.

Contatto: Valentina Gentile

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