Barattoli di miele

Api robot, in grado di volare e vedere attraverso dei sensori visivi e impollinare artificialmente. Se non siamo ancora arrivati del tutto allo scenario di Odio Universale, uno degli episodi più distopici e attuali della serie inglese Black Mirror , sembrerebbe che ci siamo quasi. Almeno dopo che la Cia – Confederazione italiana agricoltori ha lanciato l’allarme: un’ondata di miele senza api prodotto in Cina starebbe per invadere l’Europa. Ovviamente a prezzi ultra bassi che tagliano quasi del tutto ogni possibilità di concorrenza. Si tratta, secondo l’associazione di agricoltori, di una miscela che contiene una parte naturale e una parte preparata in laboratorio, messe insieme per nascondere la contraffazione.

 

Un apicoltore
Il falso miele venduto a prezzi bassissimi fa concorrenza sleale apicoltori che puntano sulla qualità (Foto:  Matthew Greger da Pixabay)

 

Il falso miele sarebbe composto con l’aggiunta di sciroppo di zucchero, e soprattutto con metodologie non conformi alle norme europee: è l’uomo, fuori dall’alveare, che si sostituisce alle api nella realizzazione del laborioso processo di maturazione del miele.

 

Una produzione, quella cinese, che come sottolinea la Cia accelera i processi di deumidificazione e maturazione che le api effettuano con tempi molto più dilatati. Con un prodotto finale ovviamente privo delle caratteristiche di genuinità del miele.  E poi il prezzo, che rischia di essere la mazzata finale. Non solo per la salute dei consumatori, ma per tutto il settore, già in crisi. Venduto a 1,24 euro al chilo contro un costo medio di produzione in Italia di 3,99 euro, non avrebbe problemi a scalzare i concorrenti. Una concorrenza sleale, anche considerando il fatto che il finto miele è difficile da rilevare alle frontiere. È anche per questo che la Cia chiede nuove metodologie di analisi e maggiori controlli ai confini Ue. E soprattutto l’introduzione di un’etichettatura sulle miscele di miele e la dichiarazione di conformità con la definizione europea di miele.

Gli anni 2000 e la moria delle api

Ovviamente il fenomeno dell’invasione di miele dall’ex Impero Celeste non è una novità. Sono anni che il mercato europeo deve farci i conti. Già nel 2016 Conapi, il consorzio nazionale apicoltori, chiedeva di rafforzare le azioni di controllo da parte delle forze dell’ordine, per monitorare l’immissione di miele dalla Cina. E proprio il 2016 fu un “annus horribilis” per la produzione, con un crollo che colpì soprattutto i piccoli e medi produttori, i prezzi che aumentarono insieme al rischio delle frodi.

 

Un alveare di api mellifere
La crescente moria di api negli ultimi anni è andata di pari passo con un aumento della richiesta di miele (Foto: PollyDot da Pixabay)

Il paradosso è che nel frattempo, ad un numero sempre minore di api, corrisponde una richiesta crescente di miele. Una moria, quella delle api, che ha cominciato a raggiungere numeri considerevoli sin dai primi anni 2000, fino ad arrivare alle cifre impressionanti degli ultimi anni: nel 2014 uno studio dell’Università di Harvard pubblicato dal Bulletin of Insectology, ha confermato definitivamente la responsabilità degli insetticidi, in particolare dei neonicotinoidi, nella strage degli insetti impollinatori. Analizzando il comportamento di diciotto colonie di api in tre diverse zone del Massachusetts (Usa) tra il 2012 e il 2013, i ricercatori hanno riscontrato in metà delle colonie trattate con gli insetticidi la sindrome dello spopolamento degli alveari (Colony Collapse Disorder), con le api adulte che vanno a morire lontano, lasciando l’alveare durante l’inverno. In nessuna delle colonie in cui non si utilizzano gli insetticidi è stato riscontrato questo fenomeno. Nel 2018 l’Efsa, dopo una revisione iniziata nel 2015 che ha sommato 588 studi, ha confermato i rischi per le api connessi all’uso di neonicotinoidi, che, già soggetti a restrizioni in Europa, sono stati messi al bando nel Vecchio Continente nel maggio del 2018.

Tra distopia e realtà: meno api ma più miele?

Ma nel frattempo, tra prodotti tossici, cambiamenti climatici, incendi e siccità, gli insetti impollinatori continuano a morire. Alla loro drammatica e progressiva diminuzione, è corrisposto negli ultimi anni un aumento della domanda di miele sul mercato, che ovviamente ha dovuto fare i conti con una produzione spesso inferiore alla richiesta. L’Europa non è autosufficiente, e importa circa il 40% del suo fabbisogno, circa 80 mila tonnellate l’anno, di cui la metà proviene da paesi dell’ex blocco sovietico e del Sud America, e l’altra metà interamente dalla Cina, che sembra essere l’unico paese in cui la produzione di miele non ha subito contraccolpi. Secondo la Fao fra il 2000 e il 2014 il paese asiatico ha aumentato la sua produzione dell’88%, con un aumento degli alveari del 21%. Numeri che non possono non insospettire. Soprattutto perché nel frattempo, come nel resto del mondo, anche in Cina la popolazione di api sta diminuendo a causa di inquinamento, pesticidi e urbanizzazione selvaggia.

 

Due barattoli di miele
Il miele è il terzo prodotto più contraffatto al mondo, dopo latte e olio d’oliva

 

Ovviamente i conti non tornano. E non a caso, secondo il Food Fraud Database della United States Pharmacopeial Convention, il miele è il terzo alimento più alterato al mondo, dopo latte e olio d’oliva. La risposta sta nella produzione cinese: spesso in Cina si raccoglie miele “immaturo”, non lasciato maturare nei favi, che viene poi lavorato, filtrato e deumidificato nelle cosiddette “fabbriche del miele”, per mano umana, al di fuori degli alveari. Naturalmente un prodotto del genere è privo delle componenti caratteristiche del miele. «La produzione di miele acerbo – spiega Norberto Garcia, professore di Apicultura all’Universidad Nacional del Sur di Bahìa Blanca, in Argentina, e presidente dell’Organizzazione Internazionale di Esportatori di Miele – porta a un prodotto finale che sia per i tempi che per i modi di realizzazione non può definirsi miele».

Questione di etichetta

Secondo gli studi del professor Garcia, il fenomeno del miele contraffatto implica ogni anno perdite per circa 600 milioni di dollari per i produttori e gli apicoltori onesti. Ed è proprio il mercato europeo quello che preoccupa maggiormente Garcia, con l’aumento delle importazioni dalla Cina: «C’è una grossa fetta di mercato interno all’Unione Europea che andrete controllato molto più approfonditamente». I paesi dove i mieli vengono maggiormente contraffatti sono Bulgaria e Cina. Per quanto riguarda il miele bulgaro, spesso le etichettature applicate nel paese non rivelano che si tratta  di miscele importate da altri paesi, oppure può succedere che il miele sia tagliato con sciroppo di zucchero, miscelato al prodotto finale oppure usato per alimentare le api durante il raccolto. Ma la contraffazione più difficile da smascherare è quella cinese, perché avviene con l’aggiunta di sciroppo di riso, che ha degli zuccheri molto simili a quelli naturali del miele. Difficili da individuare addirittura con le analisi isotopiche.

 

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Purché non venga da Marte…

Nonostante la Direttiva europea sul miele (2011/110/CE) sia chiara nel definire che cosa sia il miele, vietando l’aggiunta di qualunque altro ingrediente, la questione dei requisiti per l’identificazione dell’origine del prodotto è molto controversa e ancora troppo evanescente. Le etichette infatti possono parlare di “miscele di miele da paesi Ue”, “miscele di miele da paesi non Ue” e “miscele di miele da paesi Ue e non Ue”. Un ginepraio nel quale il consumatore europeo si perde senza nemmeno rendersene conto.

«Le informazioni sulle etichette non dicono praticamente nulla ai consumatori, se non che il miele non viene da Marte», commenta ironico Walter Haefeker, presidente dell’Associazione Europea Apicultori.

Da tempo anche l’Associazione di Haefeker chiede l’introduzione di nuovi criteri di classificazione e maggiore chiarezza per i cittadini. Una “questione di etichetta” che la Commissione Europea non ha ancora affrontato seriamente.

Scrive per noi

Valentina Gentile
Valentina Gentile
Valentina Gentile è nata a Napoli, cresciuta tra Campania e Sicilia, e vive a Roma. Giornalista, col-labora con La Stampa, in particolare con l’inserto Tuttogreen, con la testata online Sapeream-biente e con il periodico Libero Pensiero. Ha scritto di cinema per Sentieri Selvaggi e di ambiente per La Nuova Ecologia, ha collaborato con Radio Popolare Roma, Radio Vaticana e Al Jazeera English. In un passato non troppo lontano, è stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma, e ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè. E naturalmente l’agricoltura bio in tutte le sue declinazioni, dai campi alla tavola.

Contatto: Valentina Gentile

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