Biodiversità, clima. E stop ai pesticidi. I nodi della bioagricoltura secondo Franco Ferroni
Ripartire, dopo la Covid, verso un modello agricolo diverso e difendere la Farm to fork dalle lobby della conservazione. Intervista al responsabile del Wwf per l’Agricoltura e la biodiversità
Giornata mondiale dell’ambiente, l’agricoltura al centro di CARLOTTA IARRAPINO | L’Europa con la Farm to fork nel solco della bioagricoltura di CARLO TRIARICO
«L’agricoltura convenzionale è la principale causa della perdita di biodiversità. Questo non lo diciamo noi ambientalisti, ma i rapporti dell’Agenzia europea per l’ambiente e dell’Ispra. Il problema è che dopo la Covid mi sembra ci sia un gran desiderio di tornare al passato, verso un modello agricolo non sopportabile, anziché intraprendere la via di una profonda trasformazione che faccia tesoro di quanto accaduto durante la pandemia». La pensa così Franco Ferroni, responsabile Agricoltura e biodiversità del Wwf Italia, che abbiamo intervistato in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente, il 5 giugno, istituita dalle Nazioni Unite nel 1972. Una scadenza che quest’anno è dedicata alla perdita di biodiversità e che cade in prossimità di due circostanze molto significate, vale a dire la ripresa delle attività dopo il lockdown e la presentazione, più volte rimandata, della Farm to fork, vale a dire la strategia europea per la sostenibilità in agricoltura.
La pandemia della Covid-19 secondo lei può rappresentare un’occasione per cambiare volto anche all’agricoltura?
Personalmente sono abbastanza scettico. Purtroppo temo che con molta difficoltà impareremo le lezioni che derivano da questa vicenda. La prima è che il nostro benessere e la nostra salute sono legati a filo doppio con la qualità degli ecosistemi. Temo piuttosto che anche a proposito dell’agricoltura rischi di prevalere il peggio, lo abbiamo già visto: chi è interessato a contrastare un processo di riforma e un percorso di transizione ecologica sta usando gli effetti dell’emergenza per rispolverare il tema della “sicurezza alimentare” e della presunta inadeguatezza di alcune strategie, a cominciare dalla Farm to Fork.
Si sente parlare di vulnerabilità del sistema produttivo, cosa non vera, perché non sono venuti meno i meccanismi della produzione, casomai quelli della distribuzione efficace dal campo alla tavola.
La pandemia inoltre ha fatto emergere il dramma del lavoro nero, del caporalato e del fatto che la nostra agricoltura dipende dalla manodopera straniera. Queste sono le lezioni che dovremmo apprendere da quanto accaduto. Invece sentiamo ripetere, anche da esponenti politici importanti come Paolo De Castro, che non ci possiamo permettere le strategie auspicate dalla Farm to Fork perché in questo momento la priorità è garantire la sicurezza alimentare. In realtà non abbiamo mai avuto, nemmeno nei mesi di emergenza, un problema di quantità. Il problema è la qualità del cibo, da cui dipende anche l’indebolimento dei nostri sistemi immunitari. Ed è dal dopoguerra che viviamo in una pandemia silenziosa, data dall’esposizione ai pesticidi, alle sostanze chimiche di sintesi. Che oggi sappiamo essere la causa principale di malattie degenerative che compaiono ormai sin dalla prima infanzia.
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Sembra che non ci sia tutta questa voglia di affrontare questo problema: la legge sul biologico da noi si è arenata da tempo in Senato. Com’è possibile?
Se dovessimo usare una parola per descrivere questa triste vicenda, la parola sarebbe “scandaloso”. È scandaloso che una legge così importante sia ferma da oltre un anno al Senato, dopo essere stata approvata con un’ampia maggioranza alla Camera. Sappiamo bene perché accade: c’è anche in questo caso una lobby che da sempre contrasta la crescita del biologico. Lo fa a tutela dei soliti interessi, gli stessi di cui abbiamo parlato prima. Sicuramente il Senato è stato condizionato al suo interno anche dalla presenza di persone che si sono fatte anche un po’ paladine in questa guerra contro biologico e biodinamico.
Questa legge riconosceva finalmente il valore di un metodo importante come quello biodinamico e questo ha fatto probabilmente un po’ da pretesto per trovare argomenti futili e contrastare l’approvazione della legge.
Noi speriamo venga comunque approvata a breve, da tempo stiamo chiedendo al Parlamento che questo possa accadere entro l’anno. Non è perfetta e infatti avevamo presentato alla Camera alcuni emendamenti per migliorarla, ma per come stanno le cose meglio una legge imperfetta che nessuna legge. Ma non è più tollerabile che resti a metà del guado. O peggio ancora, che sia stravolta da alcuni emendamenti presentati per demolirla.
Qual è la lobby che contrasta la legge sul biologico? Da chi è rappresentata?
Sono sempre i soliti noti. Le aziende e le associazioni che producono con la chimica di sintesi. Vedono nel biologico un concorrente pericoloso, perché non dimentichiamo che negli ultimi tre anni c’è stata una crescita nelle vendite dei prodotti biologici dal 16% al 20%. Non è un dato irrilevante, considerando che un prodotto biologico costa in media il 30% in più rispetto al convenzionale. È vero che si tratta ancora di una piccola nicchia ma è una nicchia in costante crescita. Tutti gli interessi che gravitano intorno all’agricoltura convenzionale, dalla produzione dei pesticidi e fertilizzanti di sintesi ai macchinari per l’uso di questi prodotti chimici, che spesso si nascondono anche dietro nomi nuovi, tipo “agricoltura conservativa” o l’“agricoltura digitale”, avallano un modello che ha dimostrato di non essere più sostenibile.
A questo proposito, qual è il suo parere sulla Farm to Fork, la strategia europea per la sostenibilità in agricoltura presentata due settimane fa?
Sicuramente la Farm to fork introduce degli obiettivi importanti, anche se leggermente al di sotto delle nostre aspettative. Ma dà un segnale significativo rispetto alla strada da percorrere. Un esempio per tutti: prevede di ridurre del 50% l’uso dei pesticidi entro il 2030 mentre l’obiettivo delle iniziative dei cittadini europei, a cui aderisce anche il Wwf Italia, chiede di abbatterli dell’80%. Sicuramente è un bel salto di qualità il fatto che la discussione si sia spostata da “pesticidi sì, pesticidi no” a pesticidi “come, quanti e perché”. Poi il clima: sappiamo che il 23% dei gas-serra è attribuito all’agricoltura, di cui il 18% solo per la componente di produzione agro tecnica. Su questo la Farm to Fork si è limitata ad auspicare un ridotto consumo di carne, grassi e zuccheri, non ha fissato degli obiettivi di riduzione del consumo della carne e di profonda trasformazione dei modelli produttivi del settore zootecnico.
Se si vuole affrontare il problema del contributo che l’agricoltura dà ai cambiamenti climatici non si può non affrontare il nodo della qualità e quantità delle produzioni zootecniche.
Il problema vero, comunque, sta nel fatto che la strategia è già sotto attacco delle potenti lobby dell’agrochimica, e il fatto che ci siano state delle pesanti critiche, degli attacchi che probabilmente ritroveremo nella discussione anche nel Consiglio e nel Parlamento europeo, è un indicatore che la Farm to Fork sta andando nella giusta direzione. Se così non fosse non avremmo visto le reazioni così virulente che invece ci sono state da parte di alcune associazioni agricole e soprattutto da parte di produttori e commercianti di pesticidi.
Quanto sono ancora potenti le lobby dell’agrochimica?
Molto. Lo abbiamo visto nel caso del glifosate, Monsanto è riuscita a condizionare pesantemente il parere dell’Efsa. Abbiamo il sospetto che abbiano messo lo zampino anche nel parere sul multiresiduo. Le grandi lobby economico-industriali difendono i loro interessi: nulla di sorprendente, salvo il fatto che parliamo di interessi privati che riguardano poche persone e che vanno invece a discapito dell’intera collettività. Parliamo di veleni, che avvelenano l’ambiente e la salute. Siamo di fronte a un caso perfetto di privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite.
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Nel frattempo sono state annunciate le nuove date della Cop26, rimandata a causa della pandemia all’1 novembre 2021. Lei cosa si aspetta, da esperto di agricoltura, soprattutto dopo il fallimento della Cop25?
L’aspettativa è sicuramente trasformare in azioni quelli che finora sono stati soltanto dei principi. È il limite che hanno avuto finora le Cop. Alla luce delle iniziative assunte dalla Commissione Europea il 20 maggio scorso, vale a dire la presentazione della Farm to Fork e della strategia Biodiversità 2030, sarebbe questa la speranza. Sono tutte cose connesse, come ha detto Papa Francesco nella sua enciclica. L’errore più grosso che si potrebbe commettere è quello di affrontare le crisi globali e ambientali in modo settoriale. Bisogna leggere i problemi in modo trasversale, la Commissione Europea si è dotata di alcuni strumenti importanti, però come avviene spesso dalle dichiarazioni bisogna passare alla pratica.
Nel caso specifico l’appuntamento importante è la chiusura del negoziato sulla riforma della Pac, che è sicuramente lo strumento più in grado di condizionare le scelte di sostenibilità ambientale dell’agricoltura europea.
Scrive per noi
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Valentina Gentile è nata a Napoli, cresciuta tra Campania e Sicilia, e vive a Roma. Giornalista, col-labora con La Stampa, in particolare con l’inserto Tuttogreen, con la testata online Sapeream-biente e con il periodico Libero Pensiero. Ha scritto di cinema per Sentieri Selvaggi e di ambiente per La Nuova Ecologia, ha collaborato con Radio Popolare Roma, Radio Vaticana e Al Jazeera English. In un passato non troppo lontano, è stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma, e ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè. E naturalmente l’agricoltura bio in tutte le sue declinazioni, dai campi alla tavola.
Contatto: Valentina Gentile
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