Tutelare l’immagine, migliorare la qualità del biologico. La visione di Ccpb secondo Fabrizio Piva
È nato a Modena nel 1988 da un consorzio di produttori che ha anticipato i temi del Regolamento comunitario. Oggi certifica 11.250 aziende grazie a uno staff di 130 professionisti, con circa 11,4 milioni di fatturato. Dietro le quinte dell’organismo di certificazione insieme all’amministratore delegato
Il nostro viaggio fra gli organismi di certificazione del biologico prosegue con Fabrizio Piva, l’amministratore delegato di Ccpb. Originario della provincia di Verona, classe ’61, dopo una esperienza come agronomo per l’industria alimentare, Piva dal 1999 lavora presso l’organismo di certificazione con sede a Bologna, che fa parte di Assocertbio, l’Associazione degli organismi di certificazione del settore composta da otto soci che da soli certificano più del 90% delle aziende biologiche italiane.
Quali sono le principali sfide che oggi si trovano di fronte le imprese biologiche italiane?
Le sfide principali riguardano, da una parte, il mantenimento e il rafforzamento dell’immagine del biologico nei confronti del mercato e dei consumatori e, dall’altro, immettere nel processo produttivo elementi di innovazione e ricerca per cercare di rendere il prodotto sempre più sostenibile, anche economicamente. Questo deve essere fatto all’interno delle singole aziende perché dove, oggi, parte del prodotto non può essere immesso nel mercato perché qualitativamente non esitabile, determina una riduzione delle rese produttive e della produzione vendibile. Le aziende agricole biologiche devono quindi cercare di dare al consumatore dei prodotti sempre migliori dal punto di vista qualitativo. Il consumatore non è più il consumatore di trenta anni fa che si accontentava di un prodotto anche meno “bello” purché biologico. I nuovi consumatori non vogliono solo che un prodotto sia buono ma anche che sia gradevole. Aggiornare i processi produttivi è possibile, con grande impegno, grazie all’introduzione delle innovazioni tecnologiche necessarie e la pianificazione di sistemi per il miglioramento.
Qual è il ruolo degli organismi di certificazione? Possono supportare le aziende in questo percorso di miglioramento continuo?
L’organismo di certificazione ha un compito ben preciso normato dal Decreto legislativo 20/2018. Gli organismi di controllo sono enti terzi indipendenti che effettuano ispezioni e certificazioni sulle attività di produzione, trasformazione, commercializzazione e importazione di prodotti ottenuti secondo il metodo di agricoltura biologica in conformità alle disposizioni del regolamento europeo sul biologico. Un organismo di certificazione non può fare assistenza tecnica, non può fare consulenza e non può fare formazione nelle aziende perché altrimenti verrebbe meno quella che è l’indipendenza dell’organismo stesso. Se così non fosse ci sarebbe una sorta di conflitto di interesse tra chi certifica e chi è certificato e per questo tali attività sono vietate dalle normative internazionali e nazionali che disciplinano il nostro lavoro. Non è sempre stato così: gli enti di certificazioni nascono una trentina di anni fa da strutture associative che avevano il compito di favorire la crescita e lo sviluppo del biologico, l’adesione di nuove aziende e il miglioramento dei processi. Oggi l’organismo di controllo e certificazione deve svolgere esclusivamente il suo precipuo lavoro, quello di controllare e certificare.
Ccpb opera in tutta Italia e anche all’estero ed è uno dei più vecchi organismi di certificazione del biologico, fondato anche prima che venisse emanato il regolamento europeo. Ci racconta un po’ di storia del vostro organismo?
Ccpb è un organismo di certificazione nato in Italia, a Modena, nel 1988 da un consorzio di produttori che, ancora prima del Regolamento comunitario, avevano la necessità di avere un organismo di certificazione terzo dotato di tecnici preparati che potessero verificare che il processo produttivo rispondesse a quello che erano, allora, i requisiti dei disciplinari internazionali, ad esempio Ifoam. L’impresa agricola biologica dell’epoca, in particolare quella che si misurava sui mercati esteri, aveva infatti la necessità di avere qualcuno che attestasse che il processo produttivo fosse effettivamente biologico. Questo attestato, infatti, offriva maggiori garanzie al mercato rispetto ad una mera autocertificazione. Uno degli scopi principali era quello di far in modo che le imprese biologiche si sviluppassero tecnologicamente affinché il prodotto bio diventasse disponibile per tutti. Uno dei primi nostri slogan è stato “il biologico per tutti”.
Oggi non certifichiamo più solo il biologico, anche se questo è senza dubbio la fetta più importante delle nostre attività, circa il 90%. Noi certifichiamo, in tutta Italia e all’estero, dalle piccole alle grandi imprese della produzione e della trasformazione industriale di prodotti agricoli.
In Italia sono circa 11.250 le aziende certificate ogni anno dalla nostra squadra di verificatori, che conta intorno ai 130 professionisti. Ccpb fattura complessivamente circa 11,4 milioni di fatturato, comprese le certificazioni di altri schemi come quelli legati al retail, per esempio il Globalgap che garantisce i requisiti di sicurezza alimentare e di sostenibilità, o prodotti biologici del tessile (Gots – Global Organic Textile Standard e Textile Exchange) e della cosmesi, come la Iso 16.128. E poi c’è la certificazione Biodiversity Alliance con il quale si lavora per incrementare la biodiversità, la Iso 22.005 sui sistemi di rintracciabilità, la certificazione per prodotti Ogm free, la responsabilità sociale d’impresa, la certificazione residuo zero, e molte altre.
Il consumatore finale che acquista biologico si sente spesso dire che le aziende che sono certificate in realtà non lo sono e che i controlli non vengono fatti con la severità necessaria. Cosa ci può dire a questo proposito? Le aziende certificate Bio lo sono davvero?
Questo è un tema piuttosto complesso. Gli organismi di certificazione sono uno degli anelli del sistema di controllo e certificazione. Il primo soggetto che deve dare garanzie ed evidenze sul sistema e sul metodo di produzione adottato è l’agricoltore perché il principio fondamentale della certificazione è la responsabilità del produttore. Senza responsabilità non ci sarebbe la certificazione. Il controllo che noi facciamo è finalizzato alla certificazione del fatto che quella impresa è in grado di poter sostenere quel determinato processo produttivo. Purtroppo in Italia non c’è una grande cultura su questo tema. Come organismi di certificazione per poter essere riconosciuti da Ministero delle politiche agricole dobbiamo essere accreditati da Accredia, l’Ente italiano di accreditamento sotto la vigilanza del Ministero dello Sviluppo Economico, secondo una norma internazionale, la Iso 17065, specifica per il biologico.
È importante far passare il concetto che i nostri verificatori non stanno a lungo in azienda, vanno a fare le verifiche annuali, da una a quattro a seconda della rischiosità dell’azienda, e prelevano ogni tanto dei campioni, senza averne un obbligo specifico, in quanto i campioni sono uno strumento di controllo che serve quando ci sono dei dubbi sull’operato delle aziende.
I nostri ispettori quindi verificano che le aziende abbiano messo in atto un processo produttivo tale da rispettare quelle che sono le regole stabilite dalla Regolamentazione comunitaria e dalle leggi nazionali. Questo viene fatto attraverso l’analisi dei registri dei trattamenti e la relazione tecnica, una sorta di piccolo disciplinare in cui c’è una descrizione accurata dell’azienda e attraverso la quale l’operatore descrive cosa fa per rispettare il regolamento del biologico, come gestisce i confini a rischio, come previene eventuali rischi di miscelazione o eventuali rischi da deriva per trattamenti fatti da vicini. L’analisi iniziale viene quindi fatta sulla relazione tecnica: valutiamo come l’impresa ha descritto il proprio processo produttivo. Poi andiamo a fare le verifiche ispettive in azienda controlliamo le etichette, le ricette e verifichiamo che queste siano rispondenti al dettato comunitario e nazionale.
È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, e quindi entra in vigore, il nuovo decreto sulle contaminazioni e i residui di fosfiti in agricoltura biologica. Qui spieghiamo le principali novità https://t.co/ouudMkj6VE
— Ccpb (@CcpbSrl) September 11, 2020
Questo è il primo livello di controllo. Dopo avviene anche il controllo pubblico: infatti esiste un sistema di vigilanza pubblica, in capo ad Icqrf, l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari che, mediante la sorveglianza sulle aziende certificate, verifica anche il nostro operato. Ulteriori controlli sono effettuati dalle Regioni e dall’Unione Europea, che attraverso la DG Salute verifica, paese per paese, lo stato di applicazione del regolamento sul biologico e la correttezza del sistema di controllo. È un sistema molto complesso che però dà dei risultati positivi. Infatti se andiamo a vedere i risultati dei report di verifica dell’ispettorato repressioni frodi la percentuale delle difettosità sul biologico si aggira al massimo attorno a 6% valore molto più basso rispetto a quando rilevato sui prodotti tipici come Dop o Igp.
Questo sta a testimoniare che un sistema di controllo e di certificazione che obbliga tutti gli operatori a operare secondo un determinato sistema di qualità è in grado di prevenire un enorme numero di non conformità e garantisce non solo l’allineamento a quanto previsto dal regolamento del biologico ma anche la sicurezza alimentare. Quindi i consumatori posso stare tranquilli.
Il lockdown ha creato problemi per il rispetto della pianificazione delle verifiche ispettive annuali preso le aziende agricole certificate?
Le difficoltà ci sono state solo a marzo e ad aprile, ma per il biologico quelli sono mesi nei quali la densità delle verifiche ispettive, rispetto al resto dell’anno, è molto più bassa per motivi legati alla stagionalità delle produzioni. La situazione è stata praticamente recuperata e i ritardi accumulati in quei mesi stanno per essere colmati. Inoltre c’è da tenere presente che essendo l’agroalimentare una filiera essenziale i lavori non si sono mai fermati ed è stato possibile, in particolare nelle regioni meno colpite, continuare con le ispezioni. Solo per questi primi mesi e fino al 30 settembre 2020, con il Reg. UE n. 977 del 7 luglio 2020, ci è stata data la possibilità di sostituire l’ispezione fisica ad una ispezione documentale a distanza per le sole aziende a basso rischio.
Quando una azienda certificata bio è a basso rischio?
Esistono dei parametri definiti da Accredia nel documento tecnico RT-16: attraverso delle matrici con i fattori di rischio e i relativi pesi è possibile stabilire matematicamente la rischiosità delle aziende verificate. Si tratta quindi di una valutazione di tipo oggettivo.
La legge sul biologico ferma al Senato da tempo e che tutte le associazioni di produttori del settore chiedono a gran voce di approvare, andrà a impattare sul sistema dei controllo?
Questa legge non va a toccare quella che è l’attività di controllo e certificazione del biologico. Molte associazioni del biologico la reclamano da anni e quindi, nonostante per noi non cambi nulla, spero che sia approvata. Ci saranno invece dei cambiamenti quando entrerà in vigore il nuovo regolamento europeo per il biologico. La data non è ancora certa, sarebbe dovuto entrare in vigore il 1 gennaio 2021 ma probabilmente sarà prorogata di un anno. A livello europeo stanno andando avanti con la redazione di tutta la legislazione cosiddetta “secondaria”, i regolamenti delegati, molti dei quali ancora non sono stati pubblicati. Alcuni aspetti saranno modificati profondamente e quindi il rinvio sarà utile per adeguarci al meglio alle nuove regole.
Come è il mercato della certificazione in questo momento, c’è un incremento delle aziende che vogliono entrare nel biologico?
Sì, c’è un incremento costante. Assistiamo anche ad un turnover delle aziende perché alcune si certificano per accedere a contributi comunitari e tendono ad uscire dal sistema quando i finanziamenti cessano. È un fenomeno esteso in tutta Italia ed è un peccato e una dissipazione di risorse pubbliche poiché a volte accade che l’azienda smetta di operate nel rispetto dell’ambiente. Questo dimostra anche che queste aziende non sono state capaci di costruirsi il proprio mercato del biologico e che la loro adesione non era supportata dai principi dell’agroecologia.
La Farm to fork comunitaria programma un incremento delle superfici coltivate biologiche entro il 2030 del 25%, le associazioni del bio hanno accolto con un moderato entusiasmo questo obiettivo, forse si aspettavano il 30%. Secondo lei è realizzabile?
Il 25% è un obiettivo molto ambizioso ma per raggiungerlo occorrerà prima “uscire dal circolo vizioso dell’inquinamento per inaugurare con convinzione il circolo virtuoso della sostenibilità e della biodiversità”. Ccpb ha da sempre fondato la sua ragione d’essere nel diffondere e favorire la certificazione di prodotti e processi sostenibili, e anche in questa importante fase non mancherà di portare il suo contributo serio e affidabile.
Scrive per noi
- Analista, facilitatrice, comunicatrice e ambientalista. Laureata in economia a Firenze con master in Ambiente alla Scuola Sant’Anna di Pisa, svolge l’attività di consulenza dal 2000. È tra le fondatrici, nel 2008 di Contesti e Cambiamenti. Organizzazione, comunicazione e partecipazione le sue aree di intervento. È curatrice di BiodinamicaNews, la newsletter dell’Associazione per l’agricoltura biodinamica.
Ultimi articoli
- Eventi26 Settembre 2022L’impulso dell’Agricoltura Biodinamica in Puglia: agroecologia e ricerca scientifica. Webinar Sezione Puglia. 22 ottobre 2022
- Eventi26 Settembre 2022Le cure verdi in azienda agricola: portare il cosmo nel caos. Webinar Sezione Calabria. 14 ottobre 2022
- Eventi7 Agosto 2022Webinar Sezione Sicilia Proserpina. 24 settembre 2022
- Formazione30 Marzo 2022Il Calendario delle semine e dei lavori – Webinar 2 aprile 2022